Esiste niente di più bello, in una calda estate, di trangugiarsi con gusto un bell’horrorazzo di seicento pagine? E’ quello che è successo a me con Una storia dell’orrore italiana, un horror ambientato nella bassa Padana, scritto bene, coinvolgente, scurrile al punto giusto e con un ottimo retrogusto alla Pupi Avati.
Se c’è un cliché che da sempre domina il genere orrorifico, è quello della casa infestata. E villa Parise, la protagonista di questo libro, non fa eccezione. Da decenni ormai a Miraniente, immaginario – ma non troppo – paesino della bassa padana succedono strani fatti: morti e omicidi privi di spiegazioni, incendi, incidenti. Eppure gli abitanti del paese non sembrano preoccuparsene più di tanto, limitandosi a girare alla larga dalla villa ormai abbandonata che domina la vista dall’alto di una collina perennemente avvolta dalla nebbia. Qualcuno dice che vi risieda qualcosa di malvagio ma, in fondo, sono tutte leggende no?
La villa bianca. Tutti conoscevano la villa bianca.
Alla fine Miraniente è proprio un piccolo paesino del cazzo dove tutti conoscono tutti e tutto.
A dover scoprire la verità sarà Francesco Romero, scrittore di romanzi horror ormai in declino, chiamato a scrivere il libro che potrebbe rilanciare la sua carriera.
Prevedoni mette in chiaro le sue intenzioni ancora prima dell’incipit: “I personaggi e ciò che fanno sono frutto unicamente dell’immaginazione dell’autore. Ogni riferimento a cose o fatti realmente accaduti è puramente casuale. Tranne per l’uomo nero. Lui esiste per davvero e se non ci credete, è perché non avete mai guardato sotto al vostro letto”.
Aveva paura. Paura? Quel sapore metallico che gli pizzicava la lingua? Certo. Era terrore puro.
Con uno stile che ammicca molto agli horror anni ’70-80 e alle atmosfere Kinghiane, Prevedoni ci regala un romanzo primo (a cui ne sono seguiti molti atri) davvero coinvolgente, nel quale si viene sopraffatti da una nebbia tossica e a tratti allucinata, venata da quel senso di Male primordiale che finisce per permeare l’essenza di ogni cosa.
Non c’è niente di nuovo in questo romanzo, e forse è proprio per questo che funziona. Un’indagine da incubo che mi ha tenuta incollata dalla prima all’ultima pagina, in bilico tra la monotona quotidianità di un piccolo paese di provincia e un’inquietante atmosfera che si fa sempre più densa.
Niente male. Niente male davvero.