Partiamo dal presupposto principale: Manlio Castagna è incredibilmente bravo a scrivere. E’ uno di quegli scrittori dalla prosa suadente, una penna benedetta che potrebbe venderti pezzi di ghiaccio spacciandoteli per mousse al cioccolato. E questa è cosa buona. E così, dopo il successo di Petrademone, amatissima saga per ragazzi, Castagna decide di fare il salto nel buio e di scrivere un romanzo per un pubblico adulto.
L’aria è opaca sulla valle. Tendaggi di foschia ricoprono il Monte delle Benne. Ha smesso di piovere da poco, ma nel cielo sembra che una miriade di gocce sia rimasta aggrappata a pareti invisibili. La strada che conduce ad Anerbe è spalmata della solita melma. Non venire ad Anerbe se vuoi continuare a respirare.
La reincarnazione delle sorelle Klun prende vita nell’oscuro Cratere di Anerbe, la cava di amianto che domina la città, e si srotola attraverso due linee temporali diverse. Al suo interno si rincorrono – come in un vortice che diviene sempre più stretto – una famiglia con due figlie decisamente particolari, un orfano asceta con sei dita, un fascinoso scrittore che tiene dibattiti incredibilmente persuasivi, una setta segreta, morti, commissari e testi sacri perduti.
Non è un romanzo privo di pecche – quale lo è – e se devo nominarne una su tutte è che forse io da un thriller paranormale mi aspetto un’urgenza da fine del mondo imminente (che comunque è un’aspettativa del tutto personale) e io, qui, quell’ansia da “moriremo tutti malissimo” non l’ho molto sentita. Ma mi sono sentita intrattenuta? Eccome!
Forse il “problema” di questo libro è proprio che sfugge a un genere preciso. Giallo, noir, horror, romanzo esoterico, dark fantasy si fondono in un mix che però, a dispetto di ogni previsione, funziona incredibilmente bene. Una lotta tra luce e ombra, in cui i due estremi si coagulano in ciò che davvero domina i protagonisti di questa storia: le zone grigie. E a me, le zone grigie, sono sempre piaciute.