Ogni gruppo aveva una propria appartenenza, ma non eravamo famiglie chiuse. La contaminazione era inevitabile. Cerchi dentro altri cerchi, senza gerarchie, a formare una spirale. Un variopinto esercito di bellissimi vincenti – al contrario di come dovevamo apparire alla gente perbene – troppo affamati per vivere in maniera orizzontale.
— pag. 51
Bellissimo, violento, emozionante, duro. Brillante e tostissimo, Come mosche nel miele è un romanzo di formazione in parte autobiografico che racconta il cuore di tenebra di una generazione. Sono gli anni ’90 e Francesca, alla ricerca di un’identità, si tuffa nei bassifondi di quella Milano underground che nessuno vuole vedere e raccontare. La Milano dei capannoni abbandonati, dei rave, di Parco Sempione e dei campi dello spaccio dove, tra la torrida canicola estiva e la pungente nebbia invernale, si muovono i gruppi degli ultimi: scartati, emarginati, punk, anarchici, scappati di casa, matti.
L’autrice ci accompagna in un flusso di memoria in cui ricordi, facce, suoni e avvenimenti si mischiano in un racconto lisergico fatto di musica, alcool, droghe, amicizia, amore, paura.
Un percorso guidato da quell’urgenza di mordere tutto, di divorare quello che il mondo ha da offrire, di mischiarsi con cose e persone, nel bene e nel male. Quell’innamoramento e disinnamoramento continuo di tutti e di tutto nell’affannosa ricerca della vita e dell’autodeterminazione nei posti sbagliati, sempre più avanti, sempre più in basso, dove tutto si capovolge e l’ultimo diventa primo.
I punk, le case occupate, i primi acidi, l’alcool, la cocaina, e poi a 15 anni il primo buco, anelato come fosse l’obiettivo ultimo di una vita votata all’autodistruzione. Tutto accade in tempi brevissimi che, nella realtà dilatata di un’adolescenza “malata”, si fanno eoni. “Una vita fa. Qualche mese prima“. E intanto gli amici iniziano a cadere.
Le droghe che annebbiano la mente sono anche quelle che fiaccano il corpo, un corpo che diviene ogni giorno più fragile, anoressico, che si sbatte tra le notti senza sonno passate sempre più spesso all’addiaccio e i giorni monopolizzati da un’unico pensiero, un corpo bisognoso di cure ma allo stesso tempo sempre più isolato da tutti. Le botte sono sempre più forti, i risvegli ogni giorno più traumatici. La vita normale, la famiglia, la scuola, si sfuocano sullo sfondo mentre “smetto quando voglio” diventa solo un’altra bugia detta agli altri e a se stessi.
Eravamo nudi uno di fronte all’altro, eppure tanto incasinati da non poter fare niente per nessuno all’infuori di noi stessi. Semmai.
Quello di Francesca Tassini è un romanzo straordinario, che si potrebbe accomunare per tematiche a I ragazzi dello Zoo di Belino o a La scimmia sulla schiena (di cui avevo parlato QUI), ma che porta dentro di sé una potenza deflagrante. Al contrario di tutto quello che avevo letto finora sulle droghe, qui non c’è niente di patetico, né autocommiserazione. C’è solo una forte voglia di raccontarsi, forse di elaborare un buco oscuro rimasto dentro, forse di dire che farcela si può e di dare un ultimo saluto a chi invece non ce l’ha fatta.
Con un lessico strepitoso, cangiante, pregno di sfumature, capace di descrivere l’indescrivibile, Francesca si mette a nudo, utilizza il romanzo per raccontare una parte di sè stessa, scomoda e dolorosa, un percorso deprecabile, forse inspiegabile ad occhi esterni, che si offre al lettore in una violenta e disarmante sincerità. Senza scusarsi, senza compiangersi nè compiacersi.
Un libro sincero, a suo modo pieno di vita, commovente e unico nel suo genere, che mi ha trascinata nel baratro, mi ha fatta sorridere e piangere, che ho sentito mio come se fossi stata lì.
Frasi dal libro
Tornare. Vi dico qualcosa sul tornare. E’ un gesto che si fa senza pensarci. Ti viene in mente quando stai via a lungo, oppure in qualche sprazzo di discontinuità: un incontro che ti porta indietro con la memoria e poi di getto avanti fino al presente, senza cinture di sicurezza.
[…] Io torno ogni giorno. (Incipit)
Danzammo folli di gioia nei cerchi infuocati. Le risate si condensavano a metà atmosfera, e noi le afferravamo e ce le rimettevamo in bocca, dove esplodevano come caramelle frizzanti.
I pollini dei pioppi s’inseguono in piroette bianche ammaliando l’asfalto con danze macabre di prigionia. Chissà poi perché non scelgono di restare solitari e volare, anziché invischiarsi l’uno nell’altro in balle di barba lanuginosa, costretta dal peso a raschiare terra – a condannarsi al cemento.
Il segnalibro
Francesca Tassini
Francesca Tassini nasce nel 1979 a Milano. A sette anni comincia a scrivere racconti, riviste (a uso e consumo proprio) e fumetti, anche per evadere da una realtà che non le va del tutto a genio. Silenziosa e osservatrice, a quattordici anni esplode e comincia a vivere la strada, immersa nella vasta scena underground degli anni Novanta. Nel 2004 completa con successo il corso biennale alla Scuola Civica di Cinema di Milano, diplomandosi come sceneggiatrice e autrice.
Per quattro anni lavora come autrice televisiva su progetti commerciali e pubblicitari. Nel frattempo, si cimenta nella narrativa, sua grande passione. Pubblica due racconti con la casa editrice digitale Nobook e, nel 2019, Solferino Libri pubblica il suo romanzo d’ispirazione autobiografica Come mosche nel miele.
Libri recensiti dell’autrice
- Genere: Autobiografico, Romanzo, Romanzo di formazione
- Lingua originale: Italiano
- Anno pubblicazione: 2019
- Isbn: 9788828201229
- Casa editrice: Solferino
- Pagine: 352
Anche la tua scrittura è molto bella. Mi piace molto come hai articolato il tuo pensiero e come hai riportato le citazioni. Mi hai incuriosita. Sembra davvero un bel romanzo. Lo recupererò senz’altro!
Ambra, tu mi crei dipendenza! Quando recensisci con questa enfasi, con questa emozione che viene fuori ad ogni parola, come si fa dico io? Come si fa a non leggere questo libro?
Grazie dell’amore che ci metti, si vede tutto.
Ma grazie mille Elisa, sono felice di sapere che si riescano a percepire dall’esterno le mie emozioni <3