- Titolo originale: The delta of Venus
- Anno: 1978
- Genere: Racconti erotici
- Isbn: 9788845246531
- Pagine: 289
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Ci sono due modi di leggere “Il delta di Venere”, e – per l’amor del cielo – non condanniamo nessuno dei due.
Il primo è tutto fisico e risponde alle esigenze del corpo: non si può negare che alcuni dei racconti erotici che compongono questa antologia di Anais Nin facciano ribollire il sangue come un pentolino di acqua calda pronta per la tisanina di mezzanotte. Pur con lessico e sintassi ricercati e persino eleganti, narrazioni esplicite ed atmosfere calienti contribuiscono a suscitare sensazioni che – ahimè – la pellicola tristemente tratta da questo testo non si avvicina neppure a stimolare.
Il secondo è un piano decisamente più mentale, che finisce per dichiarare all’universo letterario intero una solida verità: è complicato immaginare come un uomo possa produrre letteratura erotica meglio di una donna, od anche solo avvicinarsi alla sincerità priva di pudicizia eppure mai volgare di una scrittrice che punta decisamente la sua attenzione sulle Emozioni. Si tromba, certo che si tromba, ma più precisamente ci si fonde nel corpo amato – per una vita o per una notte intensa – e non vi sono limiti alla passione. Persino disturbante, in alcuni tratti, in cui pare che la Nin veni di sarcasmo le richieste sempre più pressanti del “Collezionista” committente dei racconti di dedicarsi al solo sesso, tralasciando atmosfere e sensazioni.
Dall’adolescente alla matura, dalla scoperta alla prostituta avvezza ad ogni richiesta, le protagoniste sono sempre – e non poteva essere altrimenti – le donne.
Frasi dal libro
Mi stavo intristendo, ero piena di inquietudine e di curiosità. Sentivo che non mi sarebbe mai successo niente. Morivo dalla voglia di essere donna, di gettarmi a capofitto nella vita. Perché innanzitutto ero così schiavizzata dal desiderio di essere innamorata? Dove sarebbe incominciata la mia vita? Entravo in ogni studio aspettandomi un miracolo che non si verificava. Avevo l’impressione che dappertutto, intorno a me, passasse una grande corrente che mi lasciava fuori. Dovevo trovare qualcuno che condividesse il mio modo di sentire. Ma dove? Dove?
Dopo averle baciato la mano la mano, il sorvegliante le dava un bacio più su, sul braccio, nell’incavo del gomito. La pelle lì era sensibile, e quando Madeleine piegava il braccio aveva l’impressione che il bacio vi restasse racchiuso. Lo lasciava lì, come un fiore tra le pagine di un libro, e più tardi, quando era sola, apriva il braccio e lo baciava nello stesso punto, come a divorarlo più intimamente. Questo bacio, deposto con tanta delicatezza, era più potente di tutti i pizzicotti grossolani che aveva ricevuto per la strada come tributi al suo fascino o delle oscenità sussurratele dagli operai: “Viens que je te suce.”
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