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Storie di ordinaria follia – Charles Bukowski
Bukowski prende come un calcio allo stomaco, ma alla fine non si può non provare tenerezza per quest’uomo e i suoi racconti, che si dibattono tra necessità di sopravvivere e voglia di lasciarsi morire. Bukowski vive nella merda e ci sguazza. La potenza della sua scrittura sta nel ripudio del mondo e della persona umana, in primis la sua, della società americana e dell’ambiente poetico-letterario, troppo altolocato e snob. La sua scrittura raggiunge apici poetici incredibili per poi rituffarsi nella melma, fa ridere da far male la pancia e fa piangere, e ci avvicina a questa figura assurda e particolare che scrive di sè stessa, di quello che è e non di quello che vorrebbe essere, un poeta ubriacone con le gambe grosse, perso per il gioco d’azzardo la birra e il sesso, e nient’altro.
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Papalagi – Tuiavii di Tiavea
Vedere le cose da un’altra prospettiva ci aiuta a volte a capire quello che ci sembra scontato. “Papalagi” è la traduzione del discorso di un capo tribù delle isola Samoa che, tornato da un viaggio in Europa, cerca di descrivere al suo popolo gli usi dei Papalagi, ovvero dei bianchi. Non ci sono parole buone per noi poveri bianchi, che viviamo in “fessure di pietra” senza la luce del sole, incapaci ormai di arrampicarci su un banano troppo abituati alle nostre “pelli da piedi”, di gioire dei nostri averi perché costruiti da macchine senza cuore, troppo occupati a difendere il nostro “mio”. C’è incredulità da parte di Tuiavii per come l’uomo europeo abbia corrotto la sua natura e riesca a gioire di questo. Tuivaii vede tutto questo con gli occhi della semplicità e dell’amore per la Terra, e richiama tutti i popoli primitivi dei mari del sud affinché non si facciano corrompere dal luccichio della civiltà europea, dal momento che essa allontana l’uomo da sè stesso, lo priva di naturalezza e lo distoglie dalle vere gioie della vita. “Voi credete di portarci la luce, in realtà vorreste trascinarci nella vostra oscurità“.
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Diciotto tentativi per diventare un santo – Jean Vautrin
Titolo originale: Dix-huit tentatives pour devenir un saint Anno: 1990 Isbn: 9788807700118 Pagine: 125 Otto racconti incentrati sulle “magagne” […]
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Il vecchio che leggeva romanzi d’amore – Luis Sepúlveda
Una storia tenera e struggente
“Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” un titolo che mi faceva pensare ad un passato che non c’è più, di cui rimane la tristezza del ricordo… in un certo senso è proprio così, ma è di più, molto di più!
Si, è la storia dell’amore di un vecchio per il suo passato, per la moglie portata via troppo presto dalla malaria, un amore silenzioso, malinconico… ma c’è anche l’ amore gridato per la natura, per gli animali, per difendere la terra..
Ci racconta della violenza dei gringos, di chi distrugge e sfrutta senza capire le foreste dell’Amazzonia, ci mostra l’astuzia della sopravvivenza degli indios shuar di come combattono per difendersi contro i serpenti, le scimmiotte dispettose e violente, e gli animali feroci come il tigrillo..
Ma ci racconta anche della forte amicizia nata fra gli shuar ed il vecchio: “Desideravano vederlo, averlo accanto, ma volevano anche sentire la sua mancanza, la tristezza di non potergli parlare, e il salto di gioia che il cuore faceva loro in petto quando lo vedevano ricomparire.”
E di come gli shuar vivono l’amore: “Era amore puro, senza altro fine che l’amore stesso. Senza possesso e senza gelosia….. Nessuno riesce a legare un tuono, e nessuno riesce ad appropriarsi dei cieli dell’altro nel momento dell’abbandono.”…frase vera, importante tutti dovremmo percepire e vivere l’amore in questo modo, perché alla fine ognuno di noi e “solo”, e appartiene solamente a “se stesso”!
E poi quel filo sottile, ma robusto che tiene legato il vecchio alle sue origini, la sua passione per i romanzi d’amore, in cui emerge l’appagamento interiore che il vecchio prova nel leggere storie di amori travagliati, che fanno piangere e che forse riflettono quel mondo, dal quale egli fugge, preferendo la solitudine in una terra vergine e pericolosa… “….preferiva non pensare,
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54 – Wu Ming
1954. Il bar Aurora di Bologna, la Napoli di Lucky Luciano, la Hollywood di Cary Grant, e la Jugoslavia di Tito. A fare da filo conduttore un McGuffin Electric, misteriosa televisione simbolo del nuovo avvenire. Un perfetto mosaico di storie ai tempi della guerra fredda, degli ideali partigiani, delle operazioni internazionali. Un sublime divertissement che parla della storia come tutti vorremmo sentirla raccontare. E poi Pierre e suo padre, Steve Cemento, Kociss, tante storie che si incrociano con un’incredibile maestria, storie nelle quali anche il più piccolo dettaglio non viene lasciato al caso.
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Vite brevi di idioti – Ermanno Cavazzoni
Anno: 1998 Isbn: 9788807814266 Pagine: 152 In un mondo dove anche l’intelligenza e le sue pretese fanno parte diquell’universale idiozia […]
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Mattatoio n. 5 – Kurt Vonnegut
La guerra senza parlare della guerra. La storia autobiogrofica del bombardamento di Dresda, durante la Seconda Guerra Mondiale, raccontata però non in maniera tragica, ma come sottofondo alla storia del povero Billy Pilgrim, improbabile viaggiatore nel tempo, esemplare di essere umano esposto allo zoo di Tralfamadore, uomo qualunque finito prigioniero dei tedeschi per una sfortunata casualità.
Ho letto opinioni discordanti su questo libro: c’è chi lo definisce un capolavoro, chi un’opera sopravvalutata, chi dice che doveva essere un libro pacifista e invece non lo è. E infatti non lo è. E non è neanche un libro di guerra, nè un libro di fantascienza. “Quasi non ci sono personaggi, in questa storia, e quasi non ci sono confronti drammatici, perchè la maggior parte degli individui che vi figurano sono malridotti, sono solo trastulli indifferenti in mano a forze immense“. Una scrittura ironica e divertente che affronta la tragedia in maniera nuova, senza esprimere opinioni ma lasciando al lettore il compito di leggere tra le righe.
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Lucertola – Banana Yoshimoto
L’arte di parlar di niente, ma di parlarne bene. Sei storie sul passato e il presente, sul cambiamento, sulla solitudine, e sulla speranza.
E’ il primo libro che leggo della Yoshimoto, comprato al mercatino dell’usato per tre euro, e devo dire che il suo stile mi ha colpita anche se come dice lei stessa nel postscriptum, forse al tempo di questo libro era ancora un pò immaturo. Non è la trama delle storie che colpisce, anzi, essa è quasi inconsistente. Sono le descrizioni, gli stati d’animo, i luoghi, le sensazioni.. Meditazioni sul passato e sul presente, sulla speranza nel cambiamento di persone ferite che cercano un riscatto; malinconia e solitudine ma anche voglia di andare avanti. Forse un pò troppo malinconico per i miei gusti, ma le parole scorrono come seta sulla pelle.