I clienti che entrano alle quattro del mattino non dicono mai cose tanto normali. Sembra che la normalità si scarichi, come le batterie. Alle quattro lampeggia la luce rossa.
Click! Vrrrrrr. Flap flap flap flap. A questo mi ha fatto pensare questo libro, a una Polaroid. Si scatta una foto, la pellicola viene sputata fuori, e, mentre la si agita, dal nero compare lentamente l’istantanea di un attimo, un fotogramma di vita dai bordi confusi. Ed è qui che si ferma HelenMcClory, un istante prima che l’immagine si sviluppi e diventi del tutto nitida, quando le ombre sulla pellicola potrebbero essere indifferentemente umani o mostri.
I suoi racconti, a cavallo tra horror e weird e tutti brevissimi, sono fermoimmagine i cui protagonisti vivono in un limbo a un passo dalla realtà. La sfiorano, la compenetrano, ma non ne divengono mai totalmente parte. Soggetti completamente diversi che però hanno in comune un surreale oscuro e appiccicoso, grumi di sangue rappreso, ragazze tenute insieme da fili infinitesimali, donne che servono a un picnic la propria mano mozzata, la verità sulla vita sessuale delle sirene.
A volte, seppur in pochissime parole, il messaggio esce in tutta la sua devastante crudezza, si apre nelle deformazioni grottesche di una realtà altra, ma così simile alla nostra. Altre volte i contorni sono così labili e sfumati da rendere la comprensione estremamente difficile, e si rimane con un “cos’avrà voluto dire?” spalmato a caratteri cubitali su un’espressione ebete.
I racconti della giovane autrice scozzese sono così, fugaci attimi di orrore che si collocano a metà tra il genio e un gigantesco WTF. Come un incubo dal quale crediamo di esserci svegliati, ma che poi, mentre stiamo facendo colazione, viene a bussare alla nostra porta.