L’essere o il nulla, ecco il problema. Salire, scendere, andare, venire; tanto fa l’uomo che alla fine sparisce. Un tàssi lo reca, un metrò lo porta via, la torre non ci bada, e il Pànteon neppure. Parigi è solo un sogno, Gabriel è solo un’ombra, Zazie il sogno d’un’ombra (o di un incubo) e tutta questa storia il sogno di un sogno, l’ombra di un’ombra, poco più di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota (oh! mi scusi).
— pag. 92
Tradurre Queneau non è un compito da poco. Non a caso Esercizi di stile (di cui avevo parlato QUI) ha dovuto aspettare 40 anni prima di sbarcare in Italia, tra l’altro tradotto non da uno-a-caso, bensì da un maestro della parola: Umberto Eco. Queneau venne definito dalla critica come “un guerriero che lotta contro la letteratura, facendola a pezzi”, e in questo caso specifico esplora un linguaggio colloquiale che si contrappone pesantemente, soprattutto in francese, alla lingua scritta ufficiale. La prima parola del libro originale infatti è “Doukipudonktan?“, una trascrizione fonetica di “D’où qu’ils puent donc tant?” (da dove viene così tanta puzza?), tradotto in italiano con “Macchiffastapuzza?”.
Con Zazie nel metro Queneau rompe gli schemi giocando con le parole e infischiandosene della trama, raggiungendo parabole di nonsense, creando un disordine premeditato, generando un crescendo di caotica ambiguità. Zazie è una bambina antipatica, inquieta, volgare, pronta ad apostrofare tutti con un “Me ne sbatto”, non ha imiti né educazione, vuole solo vedere questo fantascientifico metrò e per farlo non esita a fuggire di casa ed a burlarsi della gente per piegarla alla sua volontà e alle sue necessità.
Gabriel, lo zio di Zazie, meravigliosa figura, è un ballerino travestito in un nait. E intorno a loro si muovono figure particolari, un calzolaio che parla latino, il pappagallo Laverdure che continua a ripetere “Chiacchieri chiacchieri, non sai fare altro!”, un poliziotto che poi poliziotto non è e Marceline, la moglie di Gabriel, che fa tutto dolcemente.
Zazie scopre un mondo caotico, privo di ogni ordine e significato, nel quale ogni personaggio si trasforma e non è mai quello che sembra. E’ un gioco con l’ambiguità. Ogni volta che la bambina crede di aver capito cosa sta succedendo, subentra qualcos’altro che cambia tutto. Queneau gioca, costruisce e decostruisce, crea un mondo che sembra un burlesque, il luna park di una Parigi decadente.
Ed è proprio lui a dirci che tutto questo non è nient’altro se non un sogno, o “poco più di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota”. Posso comprendere la confusione dei critici che all’epoca si trovarono ad avere a che fare con questo libro: alcuni vi avevano visto l’apoteosi dell’esegesi, altri l’avevano etichettata come un’opera futile, altri ancora avevano dichiarato di non capire. E forse era proprio questo l’intento di Queneau, demolire ogni periodo e ogni dialogo rappresentando per assurdo la natura inafferrabile del linguaggio.
Ci vuole un pò ad entrare nel meccanismo usato da Queneau, che spesso cambia tempo verbale all’improvviso, crea neologismi che derivano dalla pronuncia fonetica, usa articoli e aggettivi che mischiano maschile e femminile. E proprio a causa di tutto questo la narrazione a volte risulta confusa, caotica, di difficile comprensione. Purtroppo ho la sensazione che anche la traduzione giochi la sua parte nella difficoltà di lettura, non tanto per colpa del traduttore, ma proprio per la difficoltà di tradurre un testo destrutturato. Come direbbe il pappagallo Laverdure, a volte “non si capisce né l’hic di questo nunc, né il quid di questo quod”.
Per chi ha già letto il libro…
Frasi dal libro
– Ehi, piccola, — fa lui allora, – allora si va a nanna?
– Chi «si»? – chiese lei.
– Eh, te, naturalmente, – rispose Gabriel, cadendo nel tranello. – A che ora andavi a dormire, laggiù?
– Qui e là non è tutt’uno, spero.
– Certo, – disse Gabriel, comprensivo.
– Se mi si lascia qui è perché non sia come là. No?
– Allora? Perché vuoi far la maestra?
– Per romper le balle alle bambine, – rispose Zazie. -Quelle che avranno la mia età fra dieci anni, tra vent’anni, tra cinquant’anni, fra cento anni, fra mille anni. Aver sempre da romper le balle a qualcuno.
– Bene, – disse Gabriel.
– Voglio esser carogna. Gli farò leccar l’impiantito. Mangiar la cimosa della lavagna. Gli metterò i compassi nel didietro. Pedate nel sedere. Porterò gli stivali. D’inverno. Alti così (gesto). Con gran speroni per scorticar la ciccia delle chiappe.
– Sai, – disse Gabriel con calma, – stando a quel che dicono i giornali, non è proprio in codesta direzione che si sta orientando l’educazione moderna. Anzi, è proprio il contrario. Si va verso la dolcezza, la comprensione, la gentilezza. È vero, Marceline, che dicono così sui giornali? […]
– Allora, — dichiarò, – farò l’astronauta.
– Ecco, – disse Gabriel, consentendo. – Ecco, bisogna tenere il passo dei tempi.
– Sì, – continuò Zazie, – farò l’astronauta per andare a romper le balle ai Marziani.
Mi creda, il prossimo, non bisogna giudicarlo troppo presto. Gabriel balla in un naitclub da froci, vestito da sivigliana, d’accordo. Ma questo che cosa prova? Che cosa prova, dico.
– Hai delle strane idee, sai, per la tua età.
– E’ vero. Certe volte mi domando perfino dove le trovo.
L’essere o il nulla, ecco il problema. Salire, scendere, andare, venire; tanto fa l’uomo che alla fine sparisce. Un tàssi lo reca, un metró lo porta via, la torre non ci bada, e il Pànteon neppure. Parigi è solo un sogno, Gabriel è solo un’ombra (incantevole), Zazie il sogno d’un’ombra (o di un incubo) e tutta questa storia il sogno di un sogno, l’ombra di un’ombra, poco piú di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota (oh! mi scusi). Laggiú, oltre, un po’ oltre, Place de la République, si accatastano le tombe dei parigini che furono, che salirono e scesero scale, andarono e vennero per le vie e tanto fecero che alla fine sparirono. Un forcipe li introdusse, un carro funebre li porta via e la torre si arrugginisce e il Pànteon si screpola piú presto di quanto le ossa dei morti fin troppo presenti non si dissolvano nell’humus della città tutto impregnato di affannì. Ma sono vivo, io, e qui s’arresta la mia scienza perché del tassimane sparito nel suo trespolo a tassametro o di mia nipote sospesa a trecento metri nell’atmosfera o della mia sposa, la dolce Marceline, rimasta presso il focolare domestico, in questo preciso momento io non so, e qui non so, se non questo, endecasillabica mente: eccoli quasi morti perché assenti.
Trasposizioni cinematografiche
Nel 1960 Louis Malle, pluripremiato regista e produttore cinematografico francese, girò la trasposizione del libro facendone un ominimo film. La pellicola è costruita, esattamente come il romanzo, come un gioco: inseguimenti bizzarri e senza senso, dialoghi accelerati, musiche appena accennate, gag comiche, ambienti in continua trasformazione come la stessa Parigi che ospita il film.
Il Segnalibro
Raymond Queneau
Raymond Queneau nacque il 21 febbraio 1903 a Le Havre (centro dell’Alta Normandia). Il padre era Henri Queneau, un commerciante; mentre la madre era Joséphine Augustine Julie Mignot.
Raymond manifestò precocemente un’inclinazione letteraria e un’intelligenza eclettica; infatti, durante la Grande Guerra, ancora fanciullo, si accostò alle più diverse discipline (i suoi interessi spaziavano dalla matematica alla poesia) e scrisse assiduamente annotazioni, liste e poesie su ogni cosa.
Finita la guerra, Raymond conseguì brillantemente il diploma e s’iscrisse a filosofia, recandosi a Parigi. In quegli anni, si avvicinò al movimento surrealista, stringendo amicizia con alcuni dei suoi più importanti esponenti, tra cui: Breton, Prévert, Man Ray, Masson, Desnos e Bataille.
Nel 1929, si consumò la rottura con Breton e le sue idee politiche ed estetiche, con un contemporaneo avvicinamento alla figura di Bataille e alle dottrine gnostiche e manichee.
Nel 1933, dopo numerose collaborazioni con varie riviste, esordì nel mondo letterario con il romanzo Le chiendent, edito dalla casa editrice Gallimard, cui Queneau resterà indissolubilmente legato (nel 1954 divenne direttore della collana Encyclopédie de la Pléiade della Gallimard).
Gli anni ’40 videro intensificarsi la sua produzione letteraria nonché i suoi interessi per la matematica e le dottrine esoteriche.
Tra gli anni ’50 e ’60, comparvero le sue opere più note. In tale periodo, Queneau si avvicinò al mondo del cinema, entrò nel “Collegio di patafisica” e fondò il movimento OuLiPo.
Morì a Parigi il 25 ottobre 1976.
Libri recensiti dello stesso autore:
- Genere: Narrativa
- Titolo originale: Zazie dans le métro
- Lingua originale: Francese
- Anno pubblicazione: 1959
- Pagine: 188
Non ho mai letto Queneau, e devo dire che più ne sento parlare più mi fa un po’ “paura”! 🙂
Però sono davvero molto curiosa. Per accostarmi a lui per la prima volta tu quale mi consiglieresti, questo o “Esercizi di stile”?
P.S.
Mi piace molto il consiglio della colonna sonora! 🙂
Bah guarda… Queneau secondo me è uno di quelli che viaggia sulla quella sottile soglia tra genio e follia. Con “Esercizi di stile” pende più verso il genio, con “Zazie nel metrò” forse più verso la follia. Leggendo Esercizi di stile sicuramente si comprende il personaggio, e forse anche il suo intento. Ma non è un romanzo. E’ semplicemente la stessa storia, tra l’altro di una banalità disarmante, raccontata 99 volte con 99 stili diversi. E’, per l’appunto, un esercizio di stile, ma secondo me vale la pena darci uno sguardo e tenerlo a portata di mano, perchè fa comprendere quanto possa essere elastica la lingua. Forse ti consiglierei di iniziare da quello tanto per capire dove si va a parare. Zazie nel metrò è una storia che sfiora vette dell’assurdo, ma secondo me ci sono un sacco di messaggi celati all’interno (una sorta di parabola della lingua ecco), ma spesso difficili da capire perchè è veramente un indicibile guazzabuglio (cit.)! Di Queneau c’è anche “I fiori blu”, che io non ho letto ma che tutti mi consigliano.
Uh! Hai notato la colonna sonora :)! Era un pò che volevo inserirla ma cercavo una veste grafica carina… Spero di essere riuscita nell’intento! Purtroppo non sono riuscita a trovare un player per l’anteprima delle canzoni che mi soddisfacesse, ma alla fine se ne può ascoltare un assaggio da itunes che mi sembra sufficiente.
Okl, grazie della spiegazione! Prima o poi ci proverò, mi incuriosisce troppo questo autore!
Sì, mi piace molto la colonna sonora, e penso che così vada più che bene tanto, diciamo la verità, se uno vuole ascoltare la canzone per intero un modo per farlo lo trova! 😉
Fantastico Queneau! Ho ancora in mente I Fiori Blu e il suo visionario linguaggio…non è facile apprezzarlo…ma se ci riesci diventa insostituibile! 🙂