Quand’ero molto piccolo ho visto un Dio. Scarpagnavo verso la Bisacconi. Scarpagnare vuol dire camminare a saltelli per via del dislivello, io abitavo in montagna, la scuola era in basso. Si scarpagna senza pause, con l’inerzia della discesa che impedisce di fermarsi, un continuo scuotimento nei giovani marroni e un piccolo ansito nei polmoncini.”
— incipit
Siamo in un luogo non troppo imprecisato nei dintorni di Roma, alle pendici del Monte Mario. In un piccolo paesino vive Lupetto, un ragazzino di campagna che un giorno riceve la visita di uno strano Dio che gli dona un orobilogio, vale a dire un orologio interno che gli permette di sbirciare il futuro e, quindi, di saltare nel tempo (da qui il suo soprannome Saltatempo). Saltatempo assiste in prima persona all’evolversi del suo paese, vicino al quale d’improvviso un sindaco scellerato inizia la costruzione di un’autostrada, e al cambiamento radicale dell’Italia dagli anni 50 fino alla fine degli anni 60.
Benni fa riaffiorare tutte le sensazioni dell’adolescenza, le prime cotte, i compleanni coi compagni di scuola, le gite, le discussioni infinite e senza approdo del collettivo studentesco, tutto esattamente come l’ha vissuto ognuno di noi, anche se, come nel mio caso, siamo cresciuti in un tempo diverso da quello in cui è ambientata la storia. Con la sua solita ironia surreale, che non manca di permeare ogni pagina del libro, l’autore crea un piccolo quadro di storia, tempi al contempo belli e difficili, di grandi speranze in cui però era facile perdersi.
Uno crede che una volta che le cosa vanno bene, che hanno preso l’anda della felicità, la strada sarà sempre in discesa, basta prendere più spinta e la goduria aumenta, diventa vertiginosa, e si sarà sempre più felici finché si raggiunge il trampolino della fortuna e si vola nel nirvana del perfetto culo. Non è così. Subito dossi, cunette, sassi in mezzo alla strada, e sbandate fuori dai tornanti. E davanti a noi, una gran salita che non si vede la cima.
Saltatempo vedrà gente smarrirsi per strada, si indignerà e pagherà il prezzo della cementificazione selvaggia del suo paesello di montagna, e scoprirà quanto in basso è pronto a scendere l’uomo in nome del guadagno. Vedrà il mondo trasformarsi, e nel contempo egli stesso si trasformerà, così come il suo linguaggio, che dall’iniziale dialetto di montagna diviene via via più profondo e colto, cercando di tenere sempre stretti i suoi due orologi, quello che conta i suoi passi in terra e quello che misura i suoi sogni.
Con una straordinaria carica di emotività semplice, tenera, senza voli pindarici ma allo stesso tempo con grande profondità, Benni ci regala un libro dolce e amaro, limpido come un ruscello di montagna, a volte crudo, a volte spensierato, di una tenerezza disarmante ma anche crudele, così come lo è la vita. Un racconto che fa piangere e ridere, che porta dentro di sè tanti spunti di riflessione, e che sicuramente lascia qualcosa dietro di sè dopo aver girato l’ultima pagina.
Il segnalibro
Stefano Benni
Non esiste una biografia del lupo Benni perché da trent’anni, tutte le volte che gliela chiedono, il lupo la cambia, dicendo un sacco di balle, o quasi-balle. Poiché nessuno ha mai controllato, Benni si è divertito a costruirsi almeno dodici biografie diverse.
Eccone una che è quasi vera.
Stefano Benni è nato a Bologna il 12 agosto 1947. Giornalista, scrittore e poeta, ha collaborato e collabora con numerose testate, come Manifesto, Cuore e Panorama, Repubblica e MicroMega. Autore televisivo, fu anche “battutista” di Beppe Grillo agli esordi.
Il soprannome Lupo nasce per la sua abitudine di girare di notte ululando insieme ai suoi sette cani. Gioca a pallone ma la sua carriera è interrotta da un infortunio. Studia al classico con risultati non eclatanti, viaggia e sbevazza. L’università proprio non fa per lui. Cambia due o tre facoltà, ma intanto ha cominciato a scrivere.
Fa il militare nei Lupi di Toscana e tra una guardia e un picchetto, scrive Bar Sport. Con i primi soldi viaggia come un pazzo.
Grazie a due grandi amici si convince di poter diventare uno scrittore. Scrive Terra e Comici Spaventati Guerrieri.
Ha scritto più di venti libri. Il suo preferito è Blues in sedici.
Il suo sito ufficiale lo trovate QUI.
Libri recensiti dello stesso autore:
- Genere: Fiction Storica, Romanzo, Umoristico
- Anno pubblicazione: 2001
- Isbn: 9788807886386
- Casa editrice: Feltrinelli
- Pagine: 265
E’ tanto che non leggo Benni, non ricordo neanche qual è stato l’ultimo suo libro che ho letto, ricordo che non mi era piaciuto tanto e mi aveva un po’ smorzato la passione per questo autore. Questa tua recensione però mi fa venire voglia di riprendere a leggerlo!
Oohhh!! Che piacere rivederti!! Sarà stato Margherita Dolcevita? E’ l’unico di Benni che non mi è piaciuto granchè… Questo invece merita moltissimo!
Grazie!! 😀 Anche a me fa piacerissimo rileggerci! 🙂
Sono andata a vedere, no, alla fine Margherite Dolcevita non mi era dispiaciuto, a parte qualche lavoro minore la delusione è arrivata con uno credo dei più famosi, La Compagnia dei Celestini, forse anche per questo mi ero un po’ intiepidita nei confronti di questo autore. E adesso non vedo l’ora di potermi ricredere!! 😀