Associamo il tempo, il suo passare, alla morte, mentre è il principale servo della vita. È il suo cacciatore. Essere giovani è avere orrore della vecchiaia.
Nella quarta di copertina, Tedoldi dice di servirsi della letteratura per scioccare e raccontare cose inaudite. E sicuramente in questo libro ci riesce benissimo.
Necropolis è un romanzo ambiguo, stratificato, dicotomico, dai molti messaggi più o meno oscuri, che raccoglie e trascende i generi di cui si nutre: distopia, filosofia, narrativa, cultura classica e contemporanea.
Siamo in un futuro pseudodistopico in cui gli uomini, da vivi, sono chiamati a decidere del loro dopomorte. Nella fattispecie, in un imprecisato luogo sulla Terra che prende il nome di Campo Terzo, devono decidere in quale delle due Necropoli vogliono essere sepolti, se nella Necropoli Ovest, oscura, labirintica, legata alla terra e ai bassi istinti, o nella Necropoli Est, situata nello spazio profondo, trasparente, tecnologica, asettica.
Sulle orme del viaggio compiuto da Dante, Il Maresciallo Yarden, accompagnato dal nipote Rama, tredici anni e mezzo quasi quattordici, dall’androide Pierre e dal Negromante Max, si addentra nelle due Necropoli alla ricerca di risposte, riportando in vita di volta in volta eccentrici e ambigui personaggi, antieroi che fungono da specchio del presente.
Est e Ovest, come l’alba e il tramonto della vita, in un libro che parla dell’umanità e delle sue contraddizioni, nell’ambiguità che regna sovrana: luce e oscurità, vecchia e nuova generazione, vita e morte, maschio e femmina, carnefici e vittime, padroni e schiavi. Su tutto aleggia una domanda: la libertà di scelta è davvero libertà se si è obbligati a scegliere?
Ora, torna di nuovo in tutta la sua categoricità il senso del dovere, la distinzione tra padroni e servi, tra chi comanda e chi obbedisce, preposti e sottoposti. Maestri e allievi. Cioè, torna, in grande, grandissimo stile, l’attimo solenne della scelta che, come tutte le scelte della Terra, è in realtà un obbligo.
Quello di Tedoldi è un romanzo complesso, profondo e allucinato, ricco di metafore e suggestioni. Il viaggio del Maresciallo Yarden è quasi un flusso di coscienza attraverso il quale l’autore esterna profonde elucubrazioni filosofiche a volte chiare, limpide, empatiche, altre volte più oscure, nebulose, nichilste.
Non nego che durante la lettura ho faticato a comprendere dei concetti, a volte ad afferrare il punto di intere pagine, e mi sono chiesta più volte se il mio background, soprattutto filosofico, fosse sufficiente alla piena comprensione del libro. Dopo lungo pensare, mi sono risposta che quella di comprendere davvero tutto in certi casi è una pretesa irrealizzabile. Tutti abbiamo conoscenze, background ed esperienze di vita diversi; io non sono l’autore, non so niente del suo vissuto e del suo bagaglio, e l’autore non è me, per cui non è detto che dobbiamo per forza comprenderci del tutto, ma possiamo, per una volta, accontentarci di prendere ciò che riesce a passare e lasciar andare il resto.
Proprio per i motivi elencati sopra non è un libro che consiglierei a cuor leggero, ma rimane per me una buona lettura, che mi ha tenuta incollata alle pagine sebbene non ci siano grande azione o pericolosi cliffhanger, e che mi ha lasciato qualcosa, o se non altro la consapevolezza che nella letteratura italiana c’è ancora chi ha voglia di osare.
- Genere: Romanzo
- Anno pubblicazione: 2019
- Isbn: 9788832961591
- Casa editrice: Chiarelettere
- Pagine: 282