[…] Ho visto spiagge di zucchero e un’acqua di un blu limpidissimo. Ho visto in completo casual da uomo tutto rosso col bavero svasato. Ho sentito il profumo che ha l’olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente. Sono stato chiamato “Mister” in tre diverse nazioni. Ho guardato cinquecento americani benestanti muoversi a scatti ballando l’Electric Slide.
— incipit
Cosa ci fa un (semi)agorafobico su una nave da crociera?
Nel 1995 David Foster Wallace viene chiamato dalla rivista Harper’s a scrivere un reportage su una settimana di vacanza extra lusso a bordo di una nave da crociera, la Zenith, prontamente e non casualmente rinominata Nadir.
Il risultato è “Una cosa divertente che non farò mai più“, un ironico e sagace resoconto di questo bizzarro microcosmo, fatto di signore delle pulizie invisibili, orrende camicie hawaiane, camerieri con sorrisi al botulino, ponti con nomi improbabili, passeggeri viziati “fino a uno stato uterino di nullafacenza”, coccolati, riveriti e, soprattutto, spinti dall’intero equipaggio a perseguire in ogni forma e con ogni mezzo un totale relax e un divertimento che è stato promesso -e sarà a tutti i costi- sfrenato.
In realtà il titolo inglese dell’opera dà un indizio in più sul contenuto di questo esilarante reportage: “a supposedly fun thing i’ll never do again”, ovvero Una cosa presumibilmente divertente che non farò mai più.
Con la sua potente e profonda capacità di analizzare le storture dell’animo umano, ma anche conscio delle proprie idiosincrasie e paranoie, di cui non fa mistero, Wallace solleva il velo per mostrarci i dietro le quinte di questa “macchina-da-vacanza-indimenticabile”: non solo le viscere della nave, che diviene quasi un vero e proprio essere vivente, ma anche il caleidoscopico e grottesco bestiario di umanità che si cela dietro a passeggeri ed equipaggio.
Ho sentito cittadini americani maggiorenni e benestanti che chiedevano all’Ufficio Relazioni con gli Ospiti se per fare snorkeling c’è bisogno di bagnarsi, se il tiro al piattello si fa all’aperto, se l’equipaggio dorme a bordo e a che ora è previsto il Buffet di Mezzanotte.
Senza dimenticare le immancabili note (in 151 pagine ce ne sono ben 137), David Foster Wallace si dimostra ancora una volta una creatura straordinaria, capace, nella sua fragilità, di scrivere un’esilarante e lucida analisi di una delle gemme del sogno americano, qui venduto sotto forma di una lussuosa cabina tre per quattro.
Frasi dal libro
In queste crociere extralusso di massa c’è qualcosa di insopportabilmente triste. Come la maggior parte delle cose insopportabilmente tristi, sembra che abbia cause inafferrabili e complicati ed effetti semplicissimi: a bordo della Nadir – soprattutto la notte, quando il divertimento organizzato, le rassicurazioni e il rumore dell’allegria cessavano – io mi sentivo disperato. Ormai è una parola abusata e banale, disperato, ma è una parola seria, e la sto usando seriamente. Per me indica una semplice combinazione – uno strano desiderio di morte, mescolato a un disarmante senso di piccolezza e futilità che si presenta come paura della morte. Forse si avvicina a quello che la gente chiama terrore o angoscia. Ma non è neanche questo. E’ più come avere il desiderio di morire per sfuggire alla sensazione insopportabile di prendere coscienza di quanto si è piccoli e deboli ed egoisti e destinati senza alcun dubbio alla morte. E viene voglia di buttarsi giù dalla nave. (pag. 13)
Una seconda signora addetta al Controllo Folle della Celebrity ha un megafono e continua a ripetere instancabilmente di non preoccuparci delle valigie, che ci raggiungeranno più tardi, e sono il solo, a quanto pare, a trovare la cosa agghiacciante nel suo involontario richiamo alla scena della partenza per Auschwitz di Schindler’s List. (p. 28)
Ora, io ho trentatré anni, e sento di aver già vissuto tanto e che ogni giorno passa sempre più velocemente. Ogni giorno sono costretto a compiere una serie di scelte su cosa è bene o importante o divertente, e poi devo convivere con l’esclusione di tutte le altre possibilità che quelle scelte mi precludono. E comincio a capire che verrà un momento in cui le mie scelte si restringeranno e quindi le preclusioni si moltiplicheranno in maniera esponenziale finché arriverò a un qualche punto di qualche ramo di tutta la sontuosa complessità ramificata della vita in cui mi ritroverò rinchiuso e quasi incollato su di un unico sentiero e il tempo mi lancerà a tutta velocità attraverso vari stadi di immobilismo e atrofia e decadenza finché non sprofonderò per tre volte, tante battaglie per niente, trascinato dal tempo. E’ terribile. Ma dal momento che saranno proprio le mie scelte a immobilizzarmi, sembra inevitabile, se voglio diventare maturo, fare delle scelte, avere rimpianti per le scelte non fatte e cercare di convivere con essi.
Sono tutti quel tipo di uomini che sembra stiano fumando il sigaro anche quando non stanno fumando il sigaro. (pag. 113)
- Genere: Non narrativa
- Titolo originale: A supposedly fun thing i'll never do again
- Lingua originale: inglese
- Anno pubblicazione: 1997
- Isbn: 9788875218379
- Casa editrice: Minimum Fax, collana Sotterranei
- Traduttore: Gabriella D'Angelo, Francesco Piccolo
- Pagine: 151