Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti.” Non significa niente. Forse è stato ieri.
— incipit
Immaginate di leggere un libro il cui protagonista la cui è un uomo laconico, inerme, che spende la sua vita in una condizione di quasi totale indifferenza verso ogni cosa, lasciando che le cose accadano, senza viverle. Un uomo che sembra non sentire nulla, non provare dei veri sentimenti: nè tristezza per la madre appena morta, nè amore per Maria, suo unico conforto, dalla quale però è incapace di trarre linfa o guizzi vitali di alcun tipo. Un uomo che si sente costantemente estraneo, solo, invisibile, ma non si pone domande di nessun genere. Mai.
Un protagonista odioso insomma, che rende quasi impossibile al lettore empatizzare con lui, che lo lascia chiuso fuori dalla sua storia, non perchè ci sia qualcosa da proteggere, ma perchè la sua storia è completamente vuota.
Questo è Maresault, il protagonista di Lo Straniero, un modesto impiegato di origine francese che vive in Algeria. Lo incontriamo al funerale della madre, al quale partecipa quasi infastidito per il caldo soffocante che gli annebbia le mente. I giorni seguenti trascorrono in una rapsodia di eventi che, sebbene lo coivolgano in prima persona, lo lasciano completamente indifferente. Una domenica, il protagonista e l’amico Raymond passeggiano sulla spiaggia, all’improvviso, scorgono due arabi. Ne segue una colluttazione tra uno dei due e Raymond che, in passato, aveva avuto una relazione con la sorella di quest’ultimo. Più tardi, tornato sul luogo del misfatto e annebbiato dalla calura, senza apparente motivo Maresault finirà per uccidere uno dei due arabi.
Durante il suo processo, che avviene dopo l’inevitabile incarcerazione, Maresault si sente un estraneo, attorniato da gente che parla di lui come se lui non ci fosse, e, nello stesso tempo, lo giudica non per l’atto in sè, ma per il suo essere così inerme di fronte alla vita, che egli stesso giudica non degna di essere vissuta.
Durante il periodo passato in prigione, prendono vita pensieri profondi che si schiantano contro le pareti umide della cella. Lui è un prigioniero perché lo è di fatto, ma soprattutto perché pensa da prigioniero e da prigioniero agisce.
Per il resto me la cavavo benone. Allora mi sono trovato spesso a pensare che se mi avessero fatto vivere dentro un tronco d’albero morto, senza poter far altro che guardare il fiore del cielo sopra la mia testa, a poco a poco mi sarei abituato.
Quando nel 1942 venne pubblicato Lo straniero, Camus aveva intenzione di descrivere la révolte solitaire dell’uomo, nudo di fronte all’assurdità della vita, un atto d’accusa rivolto alla società con i suoi meccanismi settari di inclusione e quindi, inevitabilmente, di esclusione.
Sensazioni queste, che Camus conosceva molto bene: nato in Algeria e figlio di francesi, egli si sente per tutta la vita uno straniero, sia in Algeria, dove viene considerato un colono di classe elitaria, benchè figlio di famiglia povera, sia in Francia, dove rimane un pieds noir, un espatriato.
In questo libro, egli ci trasmette quella sensazione di estraneità chiudendoci fuori dalla sua trama, non permettendoci in nessun modo di affezionarci al protagonista ma rendendolo anzi quasi fastidioso nella sua immobilità, lasciandoci inermi di fronte alla fatalità della vita, così com’è inerme Maresault.
Difficile, difficilissimo farne una recensione completa, poiché Lo Straniero, nella sua quasi pedante semplicità, è in realtà un libro estremamente complesso e con molteplici chiavi di lettura, che tratta moltissimi temi, dalla solitudine dell’uomo all’ineluttabilità del destino, dalla fede in Dio alle profonde riflessioni su ciò che ci accomuna e livella la vita di ogni essere umano: la morte.
Un libro che sembra quasi insulso, forse assurdo, un libro che non è scritto per piacere, ma per provocare sensazioni e che, una volta chiuso, si scopre aver seminato un’infinità di spunti che riemergono piano piano.
Il segnalibro
Albert Camus
Albert Camus, nato a Dréan il 7 novembre 1913, è stato uno scrittore, filosofo, saggista, drammaturgo, giornalista ed attivista politico francese.
Con la sua multiforme opera è stato in grado di descrivere e comprendere la tragicità di una delle epoche più tumultuose della storia contemporanea, quella che va dall’ascesa dei totalitarismi al secondo dopoguerra e al concomitante inizio della guerra fredda. Non solo: le sue riflessioni filosofiche, magistralmente espresse in immagini letterarie, hanno una valenza universale e atemporale capace di oltrepassare i meri confini della contingenza storica, riuscendo a descrivere la condizione umana nel suo nucleo più essenziale.
Il suo lavoro è sempre teso allo studio dei turbamenti dell’animo umano di fronte all’esistenza, in balia di quell’assurdo definito come «divorzio tra l’uomo e la sua vita». L’unico scopo del vivere e dell’agire, per Camus, che pare esprimersi dialetticamente fuori dell’intimità esperienziale, sta nel combattere, nel sociale, le ingiustizie oltre che le espressioni di poca umanità, come la pena di morte: «Se la Natura condanna a morte l’uomo, che almeno l’uomo non lo faccia», usava dire.
Camus ricevette il Premio Nobel per la letteratura nel 1957. Malato da anni di tubercolosi, morì nel 1960 in un incidente stradale.
Libri recensiti dello stesso autore:
- Genere: Romanzo
- Titolo originale: L'etranger
- Lingua originale: Francese
- Anno pubblicazione: 1942
- Isbn: 9788845277634
- Casa editrice: Bompiani
- Prefazione: Roberto Saviano
- Traduttore: Sergio Claudio Perroni
- Pagine: 157