Proclamerò al mondo le imprese di Gilgameš, l’uomo a cui erano note tutte le cose, il re che conobbe i paesi del mondo. Era saggio; vide misteri e conobbe cose segrete; un racconto egli recò dei giorni prima del Diluvio. Fece un lungo viaggio, fu esausto, consunto dalla fatica; quando ritornò si riposò, su una pietra l’intera storia incise.
— incipit
Con Gilgameš, almeno 1500 anni prima di Omero, nasce la letteratura epica e la figura dell’eroe. Il ciclo epico risale a circa 4500 anni fa tra il 2600 a.C. e il 2500 a.C. e venne alla luce verso la metà del 1800, durante la grande epoca degli scavi archeologici.
Scritta originariamente in caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla, di quest’opera possediamo, oltre all’edizione principale allestita per la biblioteca del re Assurbanipal e ora conservata nel British Museum di Londra, altre versioni più antiche e frammentarie.
Le fonti dell’epopea sono varie e coprono un lasso di tempo di circa duemila anni. Gli originali poemi in lingua sumera e la successiva versione in lingua accadica sono le principali fonti delle traduzioni moderne; la più antica versione sumera viene utilizzata soprattutto per riempire le lacune della versione accadica. Nonostante recenti integrazioni, l’epica rimane purtroppo ancora incompleta.
Questa edizione del libro inizia con una lunga introduzione, che occupa circa la metà della totalità dell’opera, che doverosamente spiega sia i fatti storici legati al rinvenimento delle tavolette, sia la storia in sè, che a causa di alcune lacune e difficoltà di traduzione potrebbe risultare di difficile comprensione in alcuni passaggi, sia i personaggi principali presenti in quest’opera, che, ad esclusione di Gilgameš ed Enkidu, sono perlopiù dei.
Nell’introduzione stessa ci viene anche spiegato come molte delle edizioni precedenti di questa epopea risultassero forse più adatte agli studiosi che non a un pubblico di curiosi lettori, in quanto cercavano di riprodurre il testo in maniera più aderente possibile all’originale, lasciando spazi vuoti al posto delle parole o frasi mancanti e includendo le variazioni di traduzione delle varie parole: il tutto sicuramente molto interessante ma estremamente farraginoso a livello di lettura.
In questa edizione invece la curatrice Nancy Sanders, archeologa Britannica deceduta nel 2015, cerca di offrirci una versione di più facile lettura, trasponendo in prosa l’originale in versi, e pescando a piene mani dalle varie versioni e traduzioni per renderci un’opera quanto più completa e comprensibile possibile.
Non ci dobbiamo dimenticare infatti che di questa epopea, che mantiene in parte i tratti della tradizione orale attraverso la quale è sopravvissuta per poi essere trascritta, esistono numerose versioni che, come ogni storia che si rispetti, mutano nel corso nei secoli in cui è stata in auge, adattandosi ai gusti e alle tradizioni dei popoli che si sono avvicendati nella fertile Mesopotamia.
Il fulcro della storia è, appunto, l’epopea di Gilgameš re di Uruk, per due terzi divino, per un terzo umano. All’inizio della storia ci viene presentato colui che poi diverrà il suo grande amico e compagno, Enkidu, la rappresentazione dell’uomo selvaggio, della prevalenza della forza sull’intelletto, il quale vive da solo nella steppa insieme agli animali e li difende dai cacciatori di Uruk.
Gilgameš decide di inviare a Enkidu una prostituta, che lo inizierà ai piaceri del sesso allontanandolo dal mondo ferino di animale selvatico e avvicinandolo invece a quello degli uomini. Dopo uno scontro iniziale, Enkidu e Gilgameš diverranno compagni inseparabili, legati da un sentimento che travalica l’amicizia: Gilgameš infatti dice spesso di amare Enkidu come una donna.
Con Gilgameš come ho già detto nasce la figura dell’eroe, ed è interessante soffermarsi sul come esso non sia ancora l’eroe senza macchia e senza paura che si svilupperà poi nell’epica Greca e Romana, ma piuttosto una figura più vicina alle aspirazioni e alle insicurezze umane: la ricerca della gloria e, soprattutto, la paura della morte. Gilgameš desidera penetrare il mistero, trovare il senso, smettere di soffrire per tutto ciò che è umano. L’idea che lo guida è sconfiggere ciò che umano lo rende, cioè la morte. Ma, come ogni uomo, è proprio in essa che troverà la pace.
E’ incredibile a volte pensare che si stanno leggendo alcune delle parole più antiche del mondo, che hanno gettato le basi di storie e miti, tra cui non smette mai di stupire il racconto del diluvio universale, le cui variazioni si ritrovano sempre diverse ma ugualmente simili, in così tante altre religioni, molte delle quali conservano la presunzione di essere l’unica verità.
Il segnalibro
- Genere: Epica
- Lingua originale: Sumero, accadico, ittita
- Anno pubblicazione: 1986 (il testo originale risale probabilmente al 2600 a.C. - 2500 a.C)
- Isbn: 9788845902116
- Casa editrice: Adelphi, collana Piccola Biblioteca - 194
- Traduttore: Alessandro Passi
- Pagine: 166
Veramente affascinante, anche a me ha colpito moltissimo! La mia versione però era abbastanza aderente all’originale, e infatti in certi momenti era un po’ ostica da seguire, con infinite ripetizioni e lacune che proprio non ti facevano capire che succedeva. Nonostante questo però devo dire che mi è piaciuto il fatto di stare leggendo qualcosa di così simile alle vere parole inventate così tanto tempo fa! 🙂