Quello che Inés voleva sapere, e lo chiese più volte battendo sul tavolo col dito indice, era che tipo di provvedimenti avrebbe preso il governo per regolamentare una cosa del genere. Non si poteva contare sul buon senso della gente, e avere un kentuki in giro per le stanze era come dare le chiavi di casa a uno sconosciuto.
In un presente del tutto simile al nostro approdano sul mercato dei pupazzi interattivi, che in pochissimo tempo spopolano sul mercato mondiale. Topo, coniglio, corvo, panda, drago, civetta, i Kentuki hanno mille fogge e una fattura non proprio curata, ma la loro particolarità è un’altra: sono dotati di una telecamera, di piccole ruote per muoversi e di un primitivo sistema di comunicazione: non possono parlare insomma, ma solo emettere dei versi.
Al contrario di un comune giocattolo robot però, si può non solo decidere di possedere un Kentuki, e quindi di diventare il proprietario di uno di questi buffi cosini, ma anche di ESSERE un Kentuki: ognuno di questi animaletti è infatti animato da una persona, che da una parte qualsiasi del mondo -l’abbinamento tra proprietario e “anima” è del tutto casuale- tramite una connessione internet penetra nella casa e nella vita di un proprietario.
Sebbene forse non sia un capolavoro di narrativa (ma di certo non era questo lo scopo), questo libro è un capolavoro di concetto: Samanta Schweblin ci porta in giro per il mondo, dal Peru alla Germania, dall’Italia al Messico, regalandoci un ventaglio, a volte tenero, a volte allarmante, di situazioni e riflessioni.
Quello che l’autrice ci offre non è un racconto lineare ma piuttosto piccoli squarci di vite, una polifonia di voci e pensieri, tra solitudine e perversioni, tra l’innato bisogno umano di comunicare e l’attaccamento morboso verso qualcosa, tra il rifugio che una vita virtuale può offrire e l’incapacità – argomento quanto mai attuale – di rendersi conto dei possibili rischi di una tecnologia così invadente.
«Essere» kentuki, pensò Alina, è una condizione molto più intensa. Se l’anonimato in rete rappresentava la massima libertà di ogni utente – e per di più un privilegio al quale ormai era quasi impossibile aspirare -, che effetto poteva fare essere anonimi nella vita di qualcun altro?
Come i proprietari, o gli “abitanti” dei Kentuki, il lettore vive la storia da una sola parte, ignaro di cosa si trovi dall’altra, immerso ed esposto ad una varietà di situazioni che indagano non solo i lati più inquietanti della tecnologia, ma anche quelli dell’animo umano. Le possibilità sono infinite e non sempre limpide: oltre a curiosità e tenerezza, il nuovo dispositivo scatena infatti pericolose forme di voyeurismo e ossessione.
Quello di Samanta Schweblin è un libro che, complice la scrittura asciutta e scorrevole, si divora. Usando un’idea che, a pensarci bene, non è poi così fantascientifica, riesce con sorprendente efficacia a puntare il riflettore sulle aree in ombra, a mettere in luce le contraddizioni di un’epoca in cui tutti hanno una doppia vita -quella reale e quella virtuale-, marcando in maniera intensa, nel bene e nel male, il sottile confine tra ciò che sembra e ciò che potrebbe realmente essere.
Samanta Schweblin
Samanta Schweblin (Buenos Aires, 1978) è una scrittrice argentina di fama internazionale. Nel 2010 è stata selezionata dalla rivista Granta come una dei 22 migliori scrittori in lingua spagnola sotto i 35 anni, riconoscimento in seguito confermato da numerosi premi letterari. Tra le sue opere: La pesante valigia di Benavides (Fazi, 2010) e Distanza di sicurezza (Rizzoli, 2017).Oltre a Kentuki, SUR pubblicherà due sue raccolte di racconti, Siete casas vacías, che le ha valso il prestigioso Premio Ribera del Duero nel 2015, e Pájaros en la boca, la cui traduzione in inglese è stata candidata al Man Booker International Prize.
Libri recensiti dell’autrice
- Genere: Romanzo
- Titolo originale: Kentukis
- Lingua originale: Spagnolo
- Anno pubblicazione: 2018
- Isbn: 9788869981791
- Casa editrice: Edizioni Sur
- Traduttore: Maria Nicola
- Pagine: 230